
Il diritto all’identità personale
Il diritto all’identità personale è quel ramo del diritto che tutela l’interesse del soggetto ad essere sé stesso e a poter affermare nella vita di relazione le sue verità.
Gli aspetti dell’identità personale tutelati storicamente sono sempre stati: nome, immagine e onore.
Dal 2010 a livello mondiale, l’organizzazione che studia e tratta i disturbi dell’identità di genere, incoraggia a depsicopatologizzare il disturbo d’identità di genere, in quanto, ad oggi si tratta di un fenomeno umano comune e che non dovrebbe più essere giudicato come naturalmente patologico o negativo.
Ecco perché oggi il diritto è arrivato a comprendere lo specifico bene / valore “costituito dalla proiezione sociale della complessiva personalità dell’individuo, alla base del quale si colloca l’interesse del soggetto ad essere rappresentato, con la sua vera identità” (Le prove Civili, Cedam 2018).
Quest’ultimo aspetto è quello che si riferisce anche all’identità di genere e che troviamo nell’articolo 6 del Codice Civile come il diritto al nome, all’immagine e alla rettifica dell’attribuzione di sesso. Il diritto di rettifica o replica, sancito dall’articolo 16, da parte dei mezzi di informazione, non si applica ancora in caso di opinioni lesive o offensive nei confronti della rettifica di sesso.
Diritto all’Identità e rettifica di sesso: una storia lunga e complessa
Nel 1982 lo Stato italiano riconobbe il diritto dell’individuo alla rettificazione dell’attribuzione del sesso clinicamente e solo successivamente a questo essere autorizzato alla rettifica nell’atto di nascita e ulteriori documenti. Un diritto che prima era concesso solo ai casi clinici, ovvero a chi aveva malformazioni sin dalla nascita o che si sviluppava naturalmente verso il sesso opposto.
Solo nel 2011, con il D.Lgs 150/2011, è stato previsto che l’autorizzazione giudiziale alla rettifica nell’atto di nascita e l’autorizzazione all’attribuzione del sesso chirurgicamente potesse avvenire congiuntamente. La sua applicazione nei tribunali, tuttavia, è stata graduale e complessa.
Come richiedere la rettifica di attribuzione del sesso
Il requisito fondamentale, per poter pretendere la richiesta di rettifica sesso, è che l’individuo interessato abbia intrapreso un processo di transizione sessuale e che il suo aspetto fisico, così come la sua identità sociale, sia variata verso il sesso opposto a quello di nascita. Inoltre, sempre più spesso, è necessario verificare lo stato psico fisico dell’interessato.
L’individuo ha il diritto di essere ciò che è, sia nei confronti della famiglia, che nelle proprie relazioni, e dunque l’individuo ha e dovrà avere il diritto ad essere riconosciuto come: “un individuo nato e registrato anagraficamente secondo un sesso, che ha poi assunto in vario modo e per mezzo di interventi chirurgici e trattamenti ormonali le caratteristiche fisiche dell’altro sesso, cui soggettivamente ritiene di appartenere”. (Le prove Civili, Cedam 2018).
Iter della causa per rettifica dell’attribuzione di sesso.
Per far riconoscere il diritto anagrafico alla rettifica del sesso e ottenere l’autorizzazione all’intervento, è necessario iniziare una causa ordinaria, notificando l’atto di citazione al Pubblico Ministero presso il Tribunale della residenza del richiedente (rappresenta lo Stato Italiano in questa tipologia di cause) e, nel caso di soggetti sposati o con figli, anche a loro.
Nei casi standard, dopo la prima udienza, il Giudice nominerà un Consulente Tecnico d’Ufficioche avrà l’obbiettivo di stabilire se il richiedente ha i requisiti psico-fisici per affrontare tale cambiamento definitivo. L’iter giuridico è quello di una causa ordinaria al termine della quale il Giudice emetterà una sentenza, accogliendo le richieste o rigettandole a seconda del caso, con tempi che vanno da 2 a 3 anni.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221 del 21 ottobre 2015, ha stabilito inoltre che il riconoscimento del sesso in cui una persona s’identifica, può avvenire anche in assenza di un intervento che modifichi i caratteri sessuali primari.
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